Day 9: "la bellezza malinconica di Sarajevo"

“É bella eh Sarajevo”. Esordisco con questa frase per rompere il ghiaccio con la signora vicina di tavolo che non appena ha capito fossimo italiani si é presentata dicendo di vivere a Piacenza da ormai 23 anni.
Non c’è dubbio che la frase abbia raggiunto l’obiettivo di facilitare la conversazione, ma non nel senso che pensavamo.
Ci risponde che Sarajevo é bella solo all’apparenza, ma che purtroppo la crosta che si é creata sopra la ferita, é finta. Ce lo dice con malinconia e con l’enfasi di chi ha voglia di raccontare qualcosa.
La incalziamo con un paio di domande, ma basta davvero poco affinché prenda parola per un ventina di minuti, in cui riassume tutto ciò che rappresenta per lei Sarajevo.
Vive in Italia perché poco dopo lo scoppio della guerra é stato permesso alle madri con figlie piccole di fuggire e stabilirsi principalmente in Germania.
Fuga tutt’altro che facile. Donne e bambini furono infatti caricate su 8 pullman, direzione aeroporto, ma a pochi minuti dalla partenza l’esercito serbo bloccó la carovana tenendole  in ostaggio per 3 giorni. Non abbiamo coraggio di chiederle cosa sia successo in quei 3 giorni, ma le statistiche dicono che sono avvenuti circa 30.000 stupri durante la guerra serbo-bosniaca.

Arrivata in Italia le giunge la notizia che il marito -rimasto in Bosnia ed arruolato nell’esercito- é deceduto.
Ventitre anni dopo non é ancora riuscita a riceve i documenti che attestino la morte di suo marito e di conseguenza, non ha la possibilità di usufruire di tutte le piccole agevolazioni attuate nei confronti delle vedove di guerra.

Ci dice che odia il comunismo, ma che ai tempi di Tito si viveva bene e che l’unica restrizione riguardava la non possibilità di criticare apertamente il regime. Nonostante il tempo che ormai è trascorso dalla dittatura, abbassa ancora la voce quando parla dell’attuale presidente Izetbegovic, come se avesse timore di essere ascoltata non solo da noi.
Teme l’infiltrazione di un islamismo integralista, che potrebbe trovare terreno fertile in un Paese a maggioranza e Presidente musulmano, ma ci rammenta come a Sarajevo siano sempre convissute perfettamente religioni diametralmente opposte.
La salutiamo e ci consiglia in ultimo di fare un giro nel quartiere ricco in collina. In un Paese di soli 4 milioni di abitati come la Bosnia, ci sono più di 80 multimilionari di cui la maggior parte vive in quella zona. Sono arrivati tantissimi soldi internazionali dopo la guerra, ma pochissime fabbriche sono state riaperte e le infrastrutture non sono di certo adeguate. Sono tutti in collina quei soldi, dice con convinzione. Finiti in tasche di chi non aveva assolutamente intenzione di aiutare il Paese a risollevarsi dalla guerra.

Finiamo la cena in un mistico silenzio e andiamo a dormire dopo un breve giro in centro.

Al mattino ci aggreghiamo al free walk tour cittadino.
Un piccolo ripasso storico é fondamentale. Nel marzo 1992 la Bosnia propone un referendum per l’indipendenza. Vince la voglia di distacco dalla Serbia, che però non la prende benissimo.
Un mese dopo al referendum i carroarmati dell’esercito Serbo circondano Sarajevo che si trova in una conca in mezzo alle colline, per cui facilmente controllabile dall’alto.
Da quell’aprile colpi di mortaio e cecchini appostati in collina, diventano all’ordine del giorno. La vita si sposta nei sotterranei svolgendo dalle lezioni scolastiche, ai lavori d’ufficio ed a qualsiasi momento di comunità non più fattibile alla luce del sole. Tutto sotto terra. Tutto come topi. Per 44 lunghissimi mesi.

I mortai serbi sganciano granate alla media di 330 al giorno. Ce n’è una che verrà ricordata particolarmente. Quella che nel 94 colpisce il mercato aperto principale della città: 60 vittime e centinaia di feriti civili.
Si vede ancora il segno della granata per terra.

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Finalmente la comunità internazionale si accorge che a Sarajevo la situazione non é umanamente sostenibile, ma la reazione stenta ad arrivare.
L’unico contatto tra la città e il mondo esterno é l’aeroporto controllato dalle Nazioni Unite e che ogni 20 giorni rifornisce di -poco- cibo la città.

Questa cartina comunque dovrebbe chiarire un po’ le idee.

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I puntini rossi sono i carroarmati ed i cecchini serbi, la chiazza verde in centro é la città ed in basso a sinistra in blu con la scritta UN sopra, c’è l’aeroporto.

Sotto la pista di atterraggio i civili sono riusciti in 4 mesi a scavare un tunnel di 800 metri grazie a cui possono acquistare alimenti e armi dal mercato nero.

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Ne percorriamo circa 10 metri, gobbi e con le gambe piegate.

Nella giornata cambiamo due guide ed entrambi ci raccontano le loro storie personali. Viene quasi scontato chiedergli cosa provino nei confronti della Serbia e le risposte sono di una saggezza zen che lascia quasi basiti: “forgive, But Not forget” ci dice il primo, mentre il secondo afferma che ci sono troppe cose da fare per Sarajevo che non ci sono energie da sprecare per odiare qualcuno.

Giriamo nella parte “nuova” della città, quella in cui le cicatrici sono più visibili.

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La nostra guida ci fa vedere delle foto scattate durante il conflitto e fanno davvero impressione. Scopriamo inoltre che durante quel periodo in Serbia sono stato aperti dei campi di concentramento per detenere i prigionieri bosniaci, rei di difendere la propria città.

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Ci sarebbero troppe cose da scrivere ancora sulla guerra e su ciò che ci raccontano le nostre guide.
Ci sono però due posti di Sarajevo che vanno raccontati.
Il primo é il ponte in cui, a pochi metri, é stato assassinato il Duca Franz Ferdinand, che come ben sappiamo é stata la scintilla della prima guerra mondiale.

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L’altro punto degno di nota, é la pista di bob invernale. Nell’84 Sarajevo ha infatti ospitato le Olimpiadi invernali creando notevoli profitti per la città. Nuove infrastrutture e nuova linfa al settore turistico legato allo sci.
Ma la guerra ha distrutto anche quello.
Ora sulla pista di bob si può camminare, lasciandoti calpestare 20 milioni di dollari di investimento.

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Le varie testimonze della giornata ci caricano di malinconia, ma spalancano anche le porte a una miriade di riflessioni, più o meno personali.

Voglio però concludere i diario di oggi con un’immagine positiva di Sarajevo, perché checché ne dica la signora incontrata a cena ieri sera, è una città bellissima, sicura, con negozi, wi fi, locali per giovani, monumenti e bellezze architettoniche davvero di pregio.
Basta prendere l’aereo per venire a scoprirle. Let’s do It.

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