#sharEarth: come funziona un orto condiviso
Si parte da uno spicchio di terra, privato o pubblico, inutilizzato e si conclude con quello stesso spicchio che fornisce una parte di alimentazione ad una famiglia non particolarmente benestante. I passaggi intermedi però sono lunghi e non senza intoppi.
Innanzi tutto bisogna trovare qualcuno che fornisca un terreno gratuitamente. Fortunatamente ci sono più persone (e Comuni) propensi ad imprestare i propri appezzamenti incolti di quanto si pensi.
Il problema è che tali terreni devono essere adatti all’agricoltura: abbastanza pianeggianti, vicini ad una fonte di irrigazione, qualitativamente adatti al nutrimento delle piante e possibilmente prossimi al centro abitato, poichè chi dovrà coltivarlo è molto probabile non possegga mezzi privati.
Tutti questi problemi, dalla fertilizzazione all’irrigazione, sono ovviamente risolvibili, ma migliore è la base di partenza, minori saranno gli investimenti iniziali.
Il secondo problema è la formazione. Coltivare un orto, piccolo o grande che sia, non è così scontato. Ci vogliono conoscenze teoriche e pratiche, per cui tutto il personale che lavorerà al progetto deve essere formato.
Ad offrire i corsi di orticoltura può essere sia un’iniziativa privata, che pubblica ( da parte del Comune o Enti). Tali corsi permettono di formare dei tutor che saranno poi i “capo cantiere” di ciascun orto e fungeranno da diffusori delle conoscenze necessarie alla coltivazione.
La figura del tutor, ricercatissima, può essere svolta da chiunque abbia grandi doti organizzative e motivazionali, nonchè del tempo libero.
Nel biellese (realtà che conosco più di altre) a fare da padre per la diffusione del know-how agricolo, abbiamo la fortuna di avere il guru agronomo Alfredo Sunder.
La sostenibilità economica di tali progetti è il terzo problema degli orti condivisi. Per comprendere meglio la problematica, vi presento due diversi tipologie di iniziativa che sono andato personalmente a toccare con mano.
La prima si trova a Cossato (Bi), frazione Spolina, ed prende la forma di una cooperativa, denominata “BIsolchi” e diretta dal simpaticissimo Alessio de Paoli ( che tanto per intenderci si è licenziato da un contratto a tempo indeterminato per dedicarsi a questa attività).
In questo appezzamento di 5mila metri quadri ( ma presto diventerà il doppio), il duplice scopo è quello di far lavorare, retribuite da una borsa-lavoro, persone con grandi problematiche sociali ( ora lavorano un detenuto, un ragazzo autistico, un rifugiato politico ed un disoccupato) e quello di far sì che in un paio d’anni l’attività diventi economicamente redditizia. Per arrivare a tale punto ci vogliono però degli investimenti iniziali come le serre automatizzate (in foto) cosicchè sia possibile produrre anche nei mesi invernali, nonchè di tutta l’attrezzatura di base necessaria per l’orticultura. Tali costi vengono quasi sempre coperti, senza interessi, grazie al micro-credito di qualche istituzione non profit, o dai guadagni di qualche altra attività sociale già ben avviata.
L’acquisto dei prodotti (assolutamente biologici) può venire direttamente in loco, oppure acquistando settimanalmente, a 5 euro, delle ceste riempite con frutta e verdura di stagione, ritirabili in diversi centri di distribuzione (se siete interessati, chiedete pure).
Nella seconda tipologia di orto condiviso invece, decade completamente l’aspetto economico.
Qui siamo sempre a Cossato (Bi), zona popolare, dove ci attendono i due esperti tutor Silvia e Carmelo.
Ci spiegano un po’ come funzionano le cose in quest’orto ed è impossibile non restare ad ascoltarli.
Poco più di un anno e mezzo fa era un campo abbandonato di rugby che il Comune ha deciso di lasciare in gestione alla Parrocchia di competenza. L’associazione “la Speranza” si è mossa per cercare volontari che trasformassero quel brullo appezzamento, in qualcosa che producesse beni alimentari.
Si è formata così una suddivisione dei compiti abbastanza definita: ci sono i tutors che mettono a disposizione il loro lavoro e le loro conoscenze, ci sono i volontari che metto a disposizione il loro tempo e le loro mani ed infine ci sono gli utenti, che sono coloro che mettono il loro lavoro ed in cambio ricevono la frutta e la verdura prodotta dal loro orto.
Come è facile comprendere, tutors e volontari sono persone di buon cuore che hanno deciso di utilizzare il proprio tempo libero per una causa utile, mentre gli utenti sono coloro che in questo momento attraversano momenti di particolare difficoltà economica.
Il surplus della produzione che non viene distribuito agli utenti, viene portato ai centri di distribuizione, ed insieme agli avanzi dei supermercati, agli alimenti raccolti da #sharEat e FraGaldino, viene donato ad altre famiglia in difficoltà.
Infine a Verrone (Bi) troviamo un altro orto condiviso particolarmente produttivo. Anch’esso fa parte della seconda tipologia, ossia quella senza risvolti economici.
In questo caso l’appezzamento viene suddiviso in due parti.
La prima parte viene coltivato direttamente da tre famiglie con gravi difficoltà sociali ed economiche. Il raccolto rappresenta la quasi totalità dell’autosostentamento del nucleo.
La seconda parte invece viene coltivato da chi usufruisce della mensa gratuita di via Novara (Bi), decimando così, soprattutto nei mesi estivi, i costi di frutta e verdura.
Sperando di avervi presentato un po’ meglio gli orti condivisi, vorrei fare alcune conclusioni finali:
– non risolveranno la fame nel mondo, ma possono sostenere l’alimentazione di interi gruppi famigliari;
– danno uno scopo, un lavoro, una cultura professionale a chi altrimenti non avrebbe nulla;
– non sono economicamente dannosi per i piccoli produttori locali poichè nel caso i prodotti vengano distribuiti gratuitamente, essi vengono consumati da una fascia di popolazione che non può permettersi di acquistare. Non c’è quindi una perdita di clientela da parte del piccolo produttore, poichè chi usufruisce degli orti condivisi non era e non è un suo consumatore. Nel caso invece i prodotti vengano venduti, si entra nelle normali dinamiche del libero mercato;
– possono abbattere i costi di manutenzione che i Comuni devono sostenere per la manutenzione di prati incolti;
Nel caso abbiate un terreno incolto particolarmente adatto, un box pieno di arnesi lasciatovi in eredità dallo zio o del gran tempo libero da dedicare a qualcosa di utile, non esitate a contattarmi. ( luca.murta@gmail.com)
Saluti =)
@LucaMurta