7 termini socio-economici da conoscere

Capita, nella nostra realtà quotidiana, di utilizzare assiduamente termini di cui non conosciamo perfettamente il significato. Capita altre volte che ci siano invece termini che proprio non conosciamo, ma che rappresentano un fenomeno con cui abbiamo spesso a che fare e capita ancora altre volte, che la conoscenza di alcuni termini possa esserci utile per migliorare la pessimistica visione che abbiamo di questa crisi o semplicemente a comprenderla un po’ di più.

A seguire propongo un elenco di  terminologie non troppo conosciute, che però, a parer mio, oltre che ad essere interessanti, potrebbero portare molti vantaggi se concettualmente diffuse tra le persone. Non serve, credo, essere degli esperti di ognuna. Basta sapere che esistono e che nel bene o nel male, sono fattori della nostra società. L’ordine non è del tutto casuale, ma a cascata: uno tira l’altro!

Fascia grigia  In parole povere è la fascia di persone economicamente abbastanza stabile ed autonoma, ma che non è in grado di avere un casa di proprietà ed in cui l’affitto rappresenta una spesa molto (troppo..) sostanziosa rispetto alle entrate mensili: una grossa parte dei giovani dai 20 ai 35 anni del giorno d’oggi quindi! Questa fascia è destinata ad allargarsi con il perdurare della crisi ed è perciò fondamentale sapere che esiste e che si dovrà cercare di tutelarla ed incentivarla con iniziative politiche ed economiche, in modo sempre maggiore.

 

Housing sociale è l’attività edilizia che ha lo scopo di risolvere il problema del disagio abitativo per la fascia grigia della popolazione. Ha avuto un boom negli ultimi anni, soprattutto nelle grosse città in cui intere aree o singoli palazzi fatiscenti, sono stati ristrutturati con lo scopo di ricavare moderni appartamenti da poter affittare a costi assolutamente ridotti. Solitamente, nella fase di ristrutturazione, vengono seguiti i canoni del design moderno e dell’ecosostenibilità, ma soprattutto si  tentano di creare servizi comuni ( come lavanderie, living room, spazi verdi comuni, aree per bambini ) che sappiano rendere il tutto, non un semplice centro abitativo, ma un vero polo di aggregazione per le persone. Sito: Fondazione Housing Sociale

 

Co-working potrebbe erroneamente essere definito l’housing sociale rivolto all’ambito lavorativo. In realtà è molto di più. La base di partenza è la stessa: la ristrutturazione di aree fatiscenti, il design moderno, la condivisione di ambienti comuni, l’obiettivo del risparmio, l’ecosostenibilità. A ciò però si aggiunge che grazie al co-working potrete avere una postazione lavorativa  immersa in un ambiente in cui è possibile condividere competenze, scambiare collaborazioni, trovare nuovi lavori e crescere culturalmente. Ma cos’è, quindi? Sono open space dotati di connessioni internet, scrivanie e servizi comuni ( come la copisteria o la segreteria) in cui, in maggioranza liberi professionisti, hanno la possibilità di avere con poche decine di euro al mese il proprio posto di lavoro, suddividendo i costi fissi di un ufficio con gli altri colleghi. Un esempio di co-working: ToolBox Office

 

Decrescita economica teoria nata principalmente dalla mente di Serge Latouche. Molto stringatamente sostiene che in questo particolare periodo di crisi, per ottenere nuovamente una crescita economica, ci voglia prima una decrescita, o meglio, un calo dei consumi. Negli ultimi cent’anni infatti l’economia, secondo Latouche, è cresciuta grazie ad uno spropositato consumismo da parte di tutto l’occidente. Tale corsa ai consumi è diventata via via sempre più insostenibile sia dal punto di vista sociale che da quello ambientale. Il PIL cresce se la gente continua a consumare, senza badare al fatto che viviamo in un sistema globale a risorse limitate e senza badare ai costi sociali ( inquinamento, smaltimento dei rifiuti ecc. ecc.). Questo, sempre secondo il pensiero del francese, porterà a breve ad un collasso economico. La soluzione possibile sarebbe quella di ridurre volontariamente e selettivamente i consumi.
( ho approfondito i limiti del PIL in un altro articolo)

 

Obsolescenza pianificata è un chiaro esempio di come la nostra società si basi sui consumi. Si tratta di una politica industriale che ha come intento quello di pianificare la durata ( il funzionamento) di un determinato prodotto, accorciandone deliberatamente la vita utile cosicchè il consumatore sia costretto a ricomprare tale bene nel giro di poco tempo. Nel peggiore dei casi si ottiene utilizzando materiali di bassa qualità, affinchè il prodotto si rompa al termine della garanzia. Senza voler essere troppo complottisti però, basta citare come esempio di obsolescenza pianificata, il porre un alto prezzo per i pezzi di ricambio di un determinato bene. Pensate a quanti cellulari abbiamo cambiato perchè la batteria non reggeva più, ma cambiarla non era conveniente rispetto a comprarne uno nuovo.
Fortunatamente pianificare a piacimento una vita troppo breve per i prodotti è difficile e sconveniente in una situazione di concorrenza: se il bene A è di scarsa qualità e dura meno di B, compro B! Il problema sorge se il produttore di A e B si mettono d’accordo.
Al giorno d’oggi il fenomeno dell’obsolescenza pianificata, si sta trasformando in obsolescenza percepita: siamo noi stessi a decidere che un prodotto è obsoleto e da cambiare ancor prima che esso lo sia veramente. Ora l’Iphone 4s non lo cambiamo più perchè la batteria non regge, ma perchè è fuori moda rispetto all’Iphone 5. Articoli su Architettura Sostenibile e GreenMe.

 

Blue economy è l’evoluzione della green economy. Se i fautori della green chiedono un sostanziale abbassamento dell’emissioni di Co2, quelli della blue, l’azzeramento. Utopistico forse, ma questa teoria fornisce un sacco di spunti interessanti. Cito la prefazione del libro “Blue Economy”: “La blue economy di cui Gunter Pauli è quella delle tecnologie ispirate dal funzionamento della natura e che opera materialmente attraverso le strategie della biomimesi. Diversamente dalla green economy, non richiede alle aziende di investire di più per salvare l’ambiente. Anzi, con minore impiego di capitali è in grado di creare maggiori flussi di reddito e di costruire al tempo stesso capitale sociale. Coltivare funghi sui fondi di caffè, imitare i sistemi di raccolta dell’acqua di un coleottero per ridurre il riscaldamento globale, sostituire le lame in metallo dei rasoi “usa e getta” con fili di seta. Fantascienza? No, realtà.”
Che non si tratti di fantascienza per ora è difficile da dire, di sicuro c’è che al giorno d’oggi le alternative sono tantissime e meritano prima di tutto credibilità.

 

 

Terre rare è un argomento un po’ disgiunto dai precedenti, ma utile per comprendere un po’ di dinamiche della nostra economia globale. Per terre rare si intendono 17 elementi della tavola periodica fondamentali per la produzione tecnologica dei giorni nostri, ma estremamente difficili da estrarre e abbastanza rari sul nostro pianeta. In quasi tutti i nostri apparecchi tecnologici, sono presenti questi elementi ( uno o più) ed il fabbisogno aumenta quotidianamente.
Le terre rare sono un argomento da conoscere poichè rappresentano uno dei più grossi fattori determinanti per l’economia mondiale. Se la Cina sta diventando quel che è, non è proprio un caso. Tra i fattori che la stanno spingendo così verso l’alto, possiamo infatti sicuramente annoverare il fatto che il 95-97% della produzione di terre rare sia in mano sua. A ciò si aggiunge che negli ultimi anni ha lanciato una politica fortemente aggressiva a riguardo, comprando nuovi giacimenti rari in giro per il pianeta. Articoli su Tagli e sul Sole24Ore

Share Button

Comments

comments

Luca Murta G. Cardoso
luca.murta@gmail.com

Gioco a basket e sono appassionato di fotografia, viaggi e politica. Mi sono laureato in Economia indirizzo business management. A seguire ho eseguito un master in web marketing ed un corso in project management al Politecnico di Milano. Per sopravvivere, faccio quello che viene definito come "project manager" anche se è troppo altisonante come nome. In realtà mi diverto :)