La grande bellezza VS Youth

Sono entrato al cinema con grande curiosità nei confronti del nuovo film di Paolo Sorrentino. Non ho voluto leggere niente a riguardo prima di vederlo: nè trama, nè attori, nè critiche. Nulla.
Sono entrato al cinema con l’idea che “Youth” dovesse essere bello almeno quanto “la grande bellezza”, perchè paragonando Sorrentino ad un campione sportivo, ti aspetti sempre che un campione, in quanto tale, fornisca ogni volta prestazioni eccellenti. 

Non credo sia corretto iniziare a vedere un film avendo fin dal primo minuto in testa un altro film come paragone di confronto. Non l’ho fatto appositamente, ma di certo Sorrentino non ha aiutato a sviare questo parallelismo. L’assonanza tra “giovinezza” e “bellezza”, le scene iniziali dei film che iniziano entrambi con una lunghissima scena cantata su uno sfondo notturno, i protagonisti vecchi, coi capelli bianchi, non belli, ma affascinanti nel loro essere. Insomma,  le similitudini ci sono eccome, soprattutto a primo impatto.

Partiamo da “la grande bellezza” però. L’ho trovato un capolavoro assoluto, il miglior modo per rappresentare la frivolezza della società, per smascherare la decadenza morale delle persone, per farci rendere conto di quanto troppo spesso basiamo le nostre vite sul nulla.
I personaggi sono tutti un’allegoria di se stessi, rappresentano tutti uno stereotipo di italiano medio altolocato e si incastrano perfettamente l’un l’altro nella storia.
I dialoghi, o i monologhi, sono singoli capolavori che si potrebbero apprezzare separatamente senza mai aver guardato il film. Ogni dialogo ci dice qualcosa, a volte in modo esplicito, a volte meno ed ogni dialogo, seppure bello se preso separatamente, si incastra anch’esso perfettamente nell’insieme del film.
La fotografia, poi, è sensazionale. Provate a stoppare la pellicola casualmente in qualsiasi momento. Il fotogramma che bloccherete risulterà quasi con certezza un’immagine esteticamente bella, proporzionata, con ogni elemento che la compone collocato in modo armonioso.
Esistono inoltre una miriade di scene che a primo impatto potrebbero apparire prive di senso, esagerate, forzatamente metaforiche, che però risultano alla fine tutte incredibilmente significative: l’artista comunista, la ragazza occidentale “imprigionata” nella limousine e la ragazza orientale “imprigionata” nel ristorante di lusso, i fenicotteri. E potrei continuare la lista. Tutte concorrono a raccontare la grande, e frivola, bellezza.

Passiamo a “Youth” ora. Guardandolo ho avuto la stessa sensazione provata mentre leggevo Baricco: so di essere bravo, bravissimo, quindi nel libro ci ficco un sacco di figure retoriche che si capiscono e un po’ non si capiscono, così viene fuori una roba che chi è un po’ intellettuale sicuramente apprezza.
Nel film la sensazione è la stessa. Mi immagino il regista attorno ad un tavolo con tutto il suo staff che esclama:
-“Dai ragazzi..Facciamo un brainstorming di 100 scene che a primo impatto potrebbero non aver senso, ma che possono avere un sacco di significati metaforici!”
-“Si, ma la trama Paolo?”
-“Allora. La trama è di due personaggi, regista e direttore di orchestra, dal grande passato, che si ritrovano in un’asettico centro benessere svizzero, circondati dai più disparati personaggi che però non so ancora bene come incastrare uno con l’altro. Questo regista e questo compositore sono in qualche modo bloccati dal loro passato. Il compositore lo è fin da subito, mentre il regista si accorge solo verso la fine di aver costruito tutta la sua vita su basi fragilissime, nonostante il successo. Queste basi fragilissime le impersonifichiamo in un vecchia diva di Hollywood. Come la monarchia insomma!”
-“Come scusi? La monarchia?”
-“Si, come la Monarchia! La Monarchia è fragile perchè basta che muoia una persona per far crollare tutto il governo”
-“Bella questa! La inseriamo nel film!”
-“Tornando alla trama, il film deve finire coi due personaggi che affrontano in modi opposti la loro “giovinezza”. Ok? Al lavoro ragazzi!”

Ora. Non vorrei che passasse il messaggio che “Youth” sia un brutto film. Anzi. E’ bello, soprattutto se uscendo dal cinema vi cadrà l’occhio su obbrobri come “San Andreas” o “Mad Max”.
Ci sono dialoghi degni di nota, monologhi (come quello del cannocchiale o quello sulle emozioni) che lasciano qualcosa dentro lo spettatore. Ci sono scene (come il lettino che si abbassa dopo la litigata padre-figlia) che rafforzano in modo geniale il dialogo appena avvenuto.
La fotografia è meno bella rispetto a “la grande bellezza”, ma comunque curatissima e sempre piacevole.
L’audio diventa spesso e volentieri un personaggio, una figura, del film.

Nonostante tutto ciò però, trovo che Sorrentino si sia fatto prendere un po’ la mano.
Troppo personaggi enfatizzati, troppe scene che lasciano di stucco, troppi momenti onirici. Troppi. Soprattutto perchè a differenza de “la grande bellezza”, manca un filo conduttore alla mole di figure retoriche presentate.
Non tutto concorre a formare perfettamente il puzzle in cui rappresentare il significato del film.
Non tutti i personaggi sono complementari uno con l’altro.

Insomma. Ho visto un bel puzzle. Ogni tassello era bello e curato, ma a guardare da vicino questo puzzle c’erano alcuni tasselli incastrati un po’ a forza e altri che sembravano essere messi lì un po’ per caso. Ne “la grande bellezza” il puzzle era invece perfetto, così come i singoli tasselli. La differenza tra un Oscar ed un bel film.

Share Button

Comments

comments

Luca Murta G. Cardoso
luca.murta@gmail.com

Gioco a basket e sono appassionato di fotografia, viaggi e politica. Mi sono laureato in Economia indirizzo business management. A seguire ho eseguito un master in web marketing ed un corso in project management al Politecnico di Milano. Per sopravvivere, faccio quello che viene definito come "project manager" anche se è troppo altisonante come nome. In realtà mi diverto :)