Un’annata così
Difficile aggiungere altre parole all’annata che ho appena vissuto, ma nonostante sia difficile so già che quest’articolo sarà ben più lungo di qualsiasi canone di lunghezza.
Partiamo dall’inizio. Iniziamo in tre, una settimana prima degli altri: Nick de Vico, Tommo ed io, assieme al nuovo preparatore atletico Roby Marocco. Un tipo sorridente, metodico che dà subito l’impressione di essere preparato.
Mentre corricchiamo, passa a salutarci il nuovo centro, Luca Infante, che strappa un sorriso a tutti e quattro per i suoi modi di fare.
E’ poi il turno di Fabio che ci saluta ad uno ad uno con una stretta di mano. Questo gesto diventerà un vero e proprio must, prima e dopo ogni allenamento “perchè durante gli allenamenti capita che tra allenatore e giocatore ci si possa mandare a quel paese, ma una stretta di mano, al termine delle due ore, riappacifica gli animi e si va a casa tutti più sereni”. Assolutamente vero.
Sette giorni dopo c’è il raduno ufficiale. Arrivano tutti, tranne Donthe Mathis. Partiamo bene cacchio. Già siamo etichettati come squadra materasso, se perdiamo pure il nostro play titolare la situazione si fa grigia.
Il ritiro di Bormio però conferma a tutti noi che se proprio dobbiamo fare il materasso, questo sarà bello compatto ed unito. Gli americani imparano subito a giocare a scopa, i giovani sono tutti svegli e motivati, i vecchi..Quali vecchi??
Torniamo tra le Alpi piemontesi e si aggrega a noi, tra i mugugni generali di super espertoni che seguono da anni la legadue (certo, come no), il nuovo play Simo Berti, alias BertidiDio. “C’è entusiasmo!?!?!?” è il suo grido di battaglia..e di entusiasmo ne ha portato un bel po’.
Inizia la stagione finalmente e dopo una serie di vittorie in precampionato, arriva la sconfitta casalinga con Veroli. La tensione ci ha traditi.
Dopo qualche giorno trovo in un ristorante uno dei capi della curva. Mi sussurra letteralmente “state sereni..I tifosi vi hanno adottato”. E’ e sarà così per tutto l’anno.
Andiamo a Capo d’Orlando con il giusto timore reverenziale, senza la pressione dei due punti, ma con lo stimolo di affrontare gente che abbiamo guardato in tele giusto un paio di anni fa. Vinciamo e la stagione cambia.
Poi il derby, Napoli, Ferentino. Otto punti nelle prime 5 giornate. Il materasso inizia ad essere un po’ scomodo per chi ci voleva fare un riposino.
La stagione prosegue con una serenità e determinazione incredibile. Il lunedì sera, unico giorno di riposo, invece di bighellonare davanti alla playstation, ci ritroviamo praticamente tutti alla palestra Metropolitan. Chi, come me e Nick, per lavorare con Roby Marocco, chi semplicemente per fare un lavoro defaticante assieme ai propri compagni.
I risultati, sia in termini di classifica che in termini di miglioramenti individuali, non tardano di certo ad arrivare. Come si suol dire, il lavoro paga.
Siamo quasi al giro di boa ed il palio c’è una qualificazione per le final six di Coppa Italia. Per farlo abbiamo un compito improbo: vincere a Verona ed in casa con Trento. Le vinciamo entrambe e le lacrime di Tommo a fine partita e a qualificazione raggiunta, spiegano senza dover aggiungere altro, quanto ci tenessimo.
Arriva anche il classico periodo nero: quattro sconfitte di fila. Dentro lo spogliatoio però non si muove una foglia. Saremo anche giovani ed inesperti, ma sappiamo tutti come si esce dalle situazioni così. Allenandosi.
I due punti non potevano ritornare se non in modo rocambolesco. Dal -17 a 3 minuti dalla fine, alla vittoria finale con schiacciata di Simo Berti sul fil di sirena.
Il secondo momento nero della stagione coincide stranamente con un grande momento in termini di vittoria. Laga si spacca e lo fa nel peggiore dei modi. Un ginocchio quasi da rifare.
La cosa peggiore è che potessimo fare veramente poco per aiutarlo. Fosse possibile ci saremmo rotti tutti un decimo di legamento o perlomeno ci saremmo suddivisi un pezzo di dolore, ma tutto ciò ovviamente non era possibile.
Arriva al posto suo Giacomino Bloise. Entra in spogliatoio in sordina chiedendo dove potesse sedersi. Prokop gli cede il suo posto, più centrale rispetto a quello a lui (Giacomo) assegnato.
Se però in spogliatoio è entrato in punta di piedi, lo stesso non si può dire per quanto riguarda il campo: 9 punti e vittoria all’esordio.
E’ il momento di andare a Rimini per la Coppa Italia. Difficile sinceramente esprimere a parole lo spirito con cui siamo andati. Alcuni dicono, con accezione positiva, che sembrassimo una scolaresca in gita, ma è riduttivo. Sapevamo che le nostre carte sarebbero state le lunghe rotazioni e la partita in meno che avremmo dovuto giocare rispetto a Torino e Capo. Da qui a pensare anche lontanamente di vincerla però, ce ne passa.
Sappiamo tutti come sia andata a finire e al di là del risultato in sè, penso sia il giusto premio e la giusta etichetta per questa incredibile stagione. Non fosse arrivata la vittoria, questa squadra sarebbe stata comunque ricordata per lo spirito e per la grinta. Un trofeo però ufficializza questa cosa, la mette nero su bianco. Ce lo meritavamo.
In men che non si dica arrivano gli attesissimi play off. L’accoppiamento è quanto mai esaltante: derby con Torino.
Per me, torinese adottivo, è il miglior accoppiamento possibile, ma tralasciando le vicissitudini universitarie della mia vita che poco importano, è il miglior accoppiamento anche per tifosi e società.
In un periodo di ristrettezze economiche come questo, risparmiare un po’ di soldi per la trasferta e guadagnarne qualcuno dalla numerosa tifoseria ospite, non è proprio malvagio.
Gara1 sembra un sogno. Abbiamo il doppio della benzina degli altri.
La benzina però è limitata soprattutto in chi, durante la stagione, ha tirato la carretta rendendola una fuoriserie.
L’esito lo si conosce. La ciliegina sulla torta sarebbe stata, realisticamente parlando, terminare la stagione davanti al nostro pubblico.
Era forse chiedere troppo però. Non sarebbe stato troppo però riuscire a festeggiare senza che l’ignoranza altrui si intromettesse. Peccato, ma chi di spada ferisce, di spada perisce. Prima o poi.
Ciò che succede in spogliatoio, resta in spogliatoio, ma la sincerità con cui ci siamo salutati, il modo con cui gli americani ci hanno ringraziato per averli fatti sentire in famiglia, le parole di Fabio. Tutto quanto è successo, me lo porterò dentro per tutta la vita e quando qualcuno insinuerà che nel professionismo ormai non esistono quasi più persone vere, ma solo mercenari, risponderò con un sorriso.
E sorridendo ripenserò a quello che siamo stati: una famiglia allargata fatta da persone fantastiche che sei ore al giorno si trasformavano in giocatori di basket.
Orgoglioso di essere stato parte di questa famiglia allargata.