Bianco o nero.

Non amiamo le scale di grigi. E’ evidente.
Siamo sempre più portati a dare dei giudizi netti su qualsiasi cosa: dai Marò, a Daniza, all’immigrazione, all’Europa, passando per le Forze dell’Ordine.

Un giudizio pacato di un giornalista non fa più notizia, un’analisi non particolarmente schierata viene ritenuta un’analisi “democristiana”, timorosa di giudizi avversi, creata ad hoc per non inimicarsi nessuno.
Meglio quindi analizzare a spanne, gridare allo scandalo, infuocare la polemica, dare addosso a questa o quella scelta senza stare a comprendere troppo le motivazione che hanno spinto a quella decisione. L’importante è trovare un buono ed un cattivo, inveire in modo colorito, schierarsi da tifoso. Perchè in questo modo si, il giornalista è uno con le palle quadrate.

Perchè?
Credo ci siano due motivi ben circoscritti.
Il primo, vecchio quanto l’uomo, è che la comprensione delle cause di un qualsiasi fenomeno è sicuramente molto, ma molto più complicata rispetto a prendere semplicemente la conseguenza superficiale di quel fenomeno e giudicarla come giusta o sbagliata.
Un esempio? L’Europa. Non conosciamo nemmeno i Paesi membri, ma visto che siamo in crisi economica ( che è in questo caso la conseguenza superficiale) indicativamente da quando l’Euro è entrato in vigore, l’Euro e l’Europa sono il male supremo da estirpare quanto prima.
Troppo difficile mettersi lì a comprendere cosa sia andato storto nella creazione di una unione di 350 milioni di abitanti, cosa si possa migliorare ora e quali strade siano più percorribili per il futuro. Molto più easy etichettarsi “No euro” e via, chi si è visto, si è visto.
Il secondo motivo invece è molto più moderno e “social”: senza accorgercene il nostro amato Facebook sta cambiando il modo di fare informazione delle più grandi testate giornalistiche e di tutti i cosiddetti “opinionisti” (dal politico, al giornalista) dei nostri giorni.
Non si va più a caccia del grande reportage ricco di dettagli, ma si guarda molto di più al contenuto che crea condivisioni, che crea polemica perchè questa crea a sua volta commenti ed interazioni, che infine creeranno valanghe di click alla nostra web page. Insomma, si bada meno alla qualità del contenuto e molto di più alla sua viralità. Che questi due fattori siano spesso inversamente proporzionali, poco importa.
Immaginatevi un post lungo e articolato in cui viene spiegata per filo e per segno la vicenda di Davide Bifolco, il giovane che è stato ucciso da un colpo di pistola partito da un Carabiniere. Alla fine di tale post si giungerebbe probabilmente alla conclusione che a sbagliare sono stati entrambi. Il giovane ad andare in giro senza casco, in tre su un motorino, senza fermarsi all’alt ed il Carabiniere poichè assolutamente non in grado di gestire una situazione come quella. A rimetterci maggiormente ovviamente il giovane che ha perso la vita.
Quanto appeal avrebbe un post del genere, lungo e tortuoso, in cui alla fine non viene nemmeno definito con certezza chi sia la strega da mettere al rogo? Poco.
Quanto invece è più facile scrivere un post rapido e veloce inveendo contro le Forze dell’Ordine o, ribaltando la situazione, contro un giovane ragazzino poco incline alle regole che “se l’è andata a cercare”? Molto, ma più facile.
Intere vicende vengono ormai ridotte ad una singola immagine con due scritte sopra in cui con quattro parole in croce si determina chi è il colpevole, chi è l’eroe e chi deve pagare.

Altri esempi? La vicenda dei Marò (che ho tentato di ricostruire in questo lungo e ammetto, noioso articolo).
Per una parte della popolazione sono eroi, per l’altra assassini. Bianco o nero appunto.
Come si può considerare eroi due persone che facendo il proprio lavoro commettono un madornale errore uccidendo due innocenti?
Come si può considerarli assassini alla stregua di Charles Manson, come se avessero premeditato tutto o come se fossero satanicamente soddisfatti di ciò che hanno commesso?
Come si può vedere solo il bianco o il nero, senza accorgersi che probabilmente i due Marò non vanno trattati nè come eroi, nè come assassini?

Aggiungo a tutto ciò il caso Daniza, la madre orso che dopo aver attaccato un cacciatore per difendere i propri cuccioli, è stata uccisa, pare per sbaglio, dall’anestetico che sarebbe dovuto servire per catturarla.
Qui è tutto talmente facile e palese che strumentalizzare la vicenda è un gioco da ragazzi: i cattivi sono quelli della Provincia di Trento che hanno permesso tale scempio, i buoni sono l’orsa Daniza e i suoi cuccioli. E’ evidente per chi si debba fare, giustamente, il tifo.
Quale miglior occasione quindi per schierarsi dalla parte dei buoni e guadagnare un po’ di consensi tra animalisti ed ecologisti?
Date un’occhiata a questi tweet e vi renderete conto che da Grillo, alla Brambilla, passando per SEL e Gasparri tutti si sono stoicamente schierati con l’orsa Daniza. Tutti quanti ovviamente vegani e animalisti da generazioni. Uhm.. Forse no, ma non importa! L’occasione era troppo ghiotta per prendersi qualche likes in più, per far vedere che si è dalla parte dei più deboli e per strizzare l’occhiolino agli animalisti.
Ma il grigio in questa vicenda in cui il bianco e il nero sono così evidenti, dove poteva stare? Forse, dico io, nel rendersi conto che dopo essersi scofanati una bistecca a pranzo e dopo aver passato l’estate a schiacciare le fastidiosissime zanzare, non era il caso di ergersi pubblicamente ed istericamente paladini degli animali. Era forse meglio tacere, attendendo che la giustizia ( si spera!) trovi il colpevole di questa mala gestione trentina, lasciando il ruolo dei tifosi pro-Daniza ad altri.

Però è troppo bello essere opinionisti-tifosi. E’ troppo facile inveire contro il nero, inneggiando al bianco. Chi me lo fa fare di trovare il grigio?

10407323_809181119103927_8907123558362309681_n

Share Button

Comments

comments

Luca Murta G. Cardoso
luca.murta@gmail.com

Gioco a basket e sono appassionato di fotografia, viaggi e politica. Mi sono laureato in Economia indirizzo business management. A seguire ho eseguito un master in web marketing ed un corso in project management al Politecnico di Milano. Per sopravvivere, faccio quello che viene definito come "project manager" anche se è troppo altisonante come nome. In realtà mi diverto :)