Comunicazione elettorale: il pagellone
Quando sono stati bravi i leader di partito nella comunicazione elettorale per le elezioni del 4 marzo?
Sono stati in grado di coinvolgere i propri elettori, sfruttando al meglio i vari aspetti comunicativi o hanno fatto un buco nell’acqua?
N.B. i giudizio in seguito sono dati solo ed esclusivamente sulle capacità comunicative e non sui contenuti proposti.
Silvio Berlusconi: voto 7.5
Dal punto di vista comunicativo fa ancora la parte del leone.
In pochi mesi riesce a risollevare dal dimenticatoio Forza Italia per l’ennesima volta e renderla il primo partito della coalizione che probabilmente prenderà più voti.
Sa che gli italiani perdonano molte cose e ne dimenticano altrettante, marciandoci sopra in una maniera plateale come solo lui è in grado di fare.
I punti da evidenziare sono molti. Ne scegliamo due:
- i cartelloni 6×3 affissi in molte città, con un elenco puntato in cui al primo posto giganteggia la scritta “onestà”.
Visti i trascorsi giudiziari del Cavaliere, la scelta di usare questo termine dovrebbe rappresentare un boomerang comunicativo negativo nei confronti dello stesso. Invece no. Il messaggio arriva ad elettori e non, riuscendo a far parlare, nel bene o nel male, di sè, riaccendendo quella fiamma che andava spegnendosi in tutti gli italiani che lo hanno sostenuto negli ultimi 24 anni.
A ciò si aggiunge lo smaccato affronto al M5S che da anni porta avanti le proprie battaglie al grido di “onestà, onestà!”.
Non evita quindi lo scontro con l’avversario, ma addirittura lo affronta sul suo campo di battaglia con fare sbeffeggiatorio. - il contratto con gli italiani firmato da Bruno Vespa.
A molti sarà sembrata una mossa ridicola, ma per coloro che hanno sostenuto il Cavaliere il significato è stato l’opposto: un messaggio forte e chiaro con scritto “guardate che Silvio è ancora qui. Forte e arzillo come 20 anni fa”.
Emma Bonino: voto 7+
Quante volte abbiamo visto nascere dei partitini/lista destinati allo zero virgola qualcosa? Tantissime.
Sembra invece che Emma Bonino si stata in grado di creare un movimento tale da riuscire a superare, in pochissimi mesi dalla sua creazione, la soglia di sbarramento del 3%.
Come? Innanzitutto Emma Bonino è, sondaggi alla mano, uno dei leader politici più amati dagli italiani. A ciò si è aggiunta una linea grafica accattivante e moderna, un nome fortemente europeista ed una scelta di tematiche assolutamente impopolari ed in netto contrasto con i cavalli di battaglia delle altre coalizioni:
- europeismo spinto;
- pochissima spesa pubblica (quindi zero promesse elettorali che creano debito pubblico, nonchè appeal negli elettori);
- apertura all’immigrazione;
È facile comprendere che nel momento in cui la maggior parte delle coalizioni più forti si propono come sovraniste, favorevoli ad una serie di investimenti pubblici utilizzando altro debito pubblico e fortemente contrarie ad ogni flusso migratorio, dal punto di vista comunicativo è stato facile proporsi come movimento dirompente ed alternativo.
Più difficile invece è stato accaparrarsi elettori nonostante le tematiche impopolari.
I sondaggi la premiano nonostante le proposte non basate sull’onda emotiva dell’elettorato (da qui, il voto alto). Vedremo le urne.
Matteo Salvini: voto 6/7
Ha la capacità di trasmettere messaggi filo-razzisti con un sorrisino, una pacatezza ed una serenità tale, da renderli commestibili anche a chi, fino a ieri, non si sarebbe mai avvicinato a tale tematiche o ideali.
Ha inoltre una innata capacità di smorzare le polemiche attorno a se stesso.
Avete mai sentito Salvini rispondere ad una accusa o ad una domanda su una tematica scomoda?
La risposa inizia sempre con un “Beh se pensiamo che il problema in Italia sia questo, quando ci sono milioni di italiani che fanno la fame…”.
In pochi secondi Salvini riesce sempre a minimizzare la gravità della problematica che gli è stata posta e riporre il focus su un tema a lui caro ed in cui è forte.
E questo lo fa in maniera talmente perentoria e sistematica da spingere i propri elettori a ritenere che i problemi dell’Italia siano unicamente quelli proposti ed affrontati da lui e dalla Lega.
È lui che detta l’agenda e l’ordine di priorità delle problematiche con il suo interlocutore ed il suo pubblico.
In questa intervista, per fare un esempio, lo fa spesso: una alzata di spalle per rispondere, due parole minimizzanti a riguardo e spostamento del focus su un tema a lui consono.
L’ultimo punto degno di nota è la capacità di rendere la Lega un partito nazionale, dopo che solo pochi anni fa gli elettori del centro-sud venivano trattati come vengono trattati gli immigrati oggi.
Via la parola “nord” dal simbolo (ve n’eravate accorti?), due strette di mano agli elettori meridionali, due arancini fotografati su Facebook e si va alla conquista del sud.
Luigi di Maio: voto 6.5
La scelta di Gigi di Maio premier invece che il bel Di Battista è chiara: il movimento non deve più apparire un movimento di protesta, ma un partito pronto al governo.
Gigi ha la faccia pulita ed il sorriso che piace anche alle persone di mezza età. È meno empatico di Di Battista, meno emozionale, ma con giacca e cravatta sempre indossati deve apparire come colui che è in grado di interfacciarsi anche con il mondo imprenditoriale e dintorni.
La strategia comunicativa del Movimento 5 Stelle regge ed a dimostrarlo sono i sondaggi che si mantengono costanti nonostante qualche gaffe qua e là e qualche scandalo legato ai rimborsi o a candidati impresentabili.
E se l’elettorato rimane stabile, ma non cresce, forse la colpa non è tanto di Di Maio ( a cui comunque diamo un 6.5 e non un 8 eh), ma di un centro destra che crescendo si è ripreso una buona fetta di papabili elettori 5 stelle.
Selezioniamo anche qui due punti focali:
- il totale oscuramento di Grillo come impersonificazione del Movimento.
I “vaffa day” sono lontani. Ora ci vuole, come detto, la cravattina e un posto nei salotti giusti. - lo smorzamento dei toni su temi che pochi mesi fa erano un vero e proprio cavallo di battaglia. Vedi la questione sull’uscita dall’euro.
Pietro Grasso: voto 5
Graficamente il suo partito appare già vecchio ancor prima di nascere.
Se con “Possibile” di Pippo Civati si era vista una certa frizzantezza nelle scelte stilistiche, lo stesso non si può dire nel nuovo polo congregatore della sinistra.
Il leader designato non è in realtà un leader, o meglio, non è in grado di trasmetterlo all’elettorato.
Non scalda i cuori, non buca il teleschermo, non fa parlare di sè, nè nel bene, nè nel male.
Quanti spezzoni, interviste, virgolettati di Pietro Grasso avete visto in questi mesi? Pochi, troppo pochi rispetto a quanti si sarebbero dovuti vedere da leader del partito che raduna le principali figure della sinistra italiana.
Se, senza pensarci troppo, provate a fare un elenco di proposte elettorali fatte da Liberi e uguali, quante ve ne vengono in mente? Forse una. Quella sulle tasse universitarie gratuite. Il resto è caduto in un oblio comunicativo.
In seguito il video in cui Pietro Grasso inizia l’avventura di Liberi e Uguali.
Dovrebbe essere un discorso pieno di pathos, in cui lo spettatore è totalmente coinvolto dall’emozione del momento e dai temi trattati, in cui il refrain finale è un tripudio di energia e forza. Giudicate voi.
Giorgia Meloni: voto 5-
Fratelli d’Italia ha fatto una scelta strategica chiara poichè sa di essere un partito di supporto alla coalizione. Di conseguenza si accontenta di una nicchia di elettorato: i patrioti.
La scelta di una nicchia ben specifica a cui riferire la propria comunicazione, è sempre cosa buona e giusta.
Questa nicchia però sa un po’ di stantio. Un misto tra sentimentalismo per i bei tempi che furono e conservatorismo vecchio stampo.
Giorgia Meloni, 41enne, neo-mamma non sposata, dai modi di fare affabili, è il leader giusto che rispecchia al meglio -sempre dal punto di vista comunicativo- la nicchia in questione?
Per il sentimentalismo nostalgico forse sarebbe meglio l’utilizzo di una tipologia di leader diverso.
C’è -a parer nostro- un disallineamento tra la nicchia scelta ed il volto di riferimento.
Per fare un paragone pratico, il leader femminile adatto a questo tipo messaggio politico è Marine Le Pen: austera, rigida, formale.
Provate a sostituire la Le Pen con Giorgia Meloni nel video qui sotto e vi accorgerete quanto stoni il personaggio con il messaggio.
L’insufficienza con il meno è data inoltre da due accadimenti:
- il video pro-presepe natalizio, che da marchetta a favore dei valori cristiani italiani, si è trasformato in una macchietta abbastanza buffa a tal punto da non comprendere se si trattasse di una presa in giro ( video);
- il confronto con il Direttore del Museo egizio di Torino, in cui la Meloni si è sgretolata davanti al garbo e le argomentazioni dell’interlocutore;
Matteo Renzi: voto 4
Un giorno scriveranno un libro su come Matteo Renzi sia riuscito ad attorcigliarsi da solo nel personaggio di Matteo Renzi stesso.
In pochi anni è passato dall’essere la speranza per molti, ad essere uno tra i leader meno amati.
Se, come portato ad esempio, il M5S è stato in grado di modulare in maniera caparbia il modo di porsi al proprio elettorato, Renzi ha fatto l’opposto, andando ad accentuare proprio i tratti che meno erano apprezzati dagli elettori.
Per le elezioni il PD ha scelto una linea pacata, cercando di comunicare agli italiani che è il partito dell’affidabilità, quello che non promette cose impromettibili e che vuole mantenere saldo il timone della ripresa.
Renzi non fa però i conti con se stesso, non rendendosi conto che per l’elettorato, al momento, non appare nè affidabile, nè il timoniere a cui lascerebbero guidare la propria barca.
A ciò aggiungiamo che all’interno della sua squadra potenziale ha invece i cavalli da corsa che -sondaggi alla mano- hanno più credibilità nei confronti dell’elettorato rispetto a lui, ma che sono stati sfruttati pochissimo durante questa battaglia elettorale.
La scelta quindi di legare l’immagine di un intero partito ad un leader solo, in questo caso potrebbe rivelarsi un boomerang totalmente negativo.
Se vogliamo dare un contentino al PD, visto il votaccio, possiamo dire che il breve spot elettorale creato, è piacevole e comunicativamente azzeccato.
Potrebbe però essere l’alunno che dopo un anno a prendere brutti voti, punta tutto sull’interrogazione di giugno, sperando nella clemenza del professore.