Murazzi: salviamo(ci da) gli zombie
Articolo a firma di Paolo Tex Tessarin
Domenica 23 marzo 2014 è la domenica in cui i trentenni di Torino con la barba ed i capelli lunghi ma non
troppo si ritrovano nel centro della città per comunicare all’Amministrazione Comunale che i Murazzi,
storica distesa di locali sull’ameno Lungo Po sabaudo, devono riaprire e tornare a vivere “come luogo di libertà e cultura giovanile”. Tutto molto bello, tranne il fatto che per il sottoscritto la giornata inizia con
l’amata corsetta domenicale e l’ambientazione suggestiva dei Murazzi alle nove del mattino presenta
il più classico panorama culturale post Saturday-night-fever: una cinquantina di zombie in preda ai più
svariati e variegati effetti della chimica libertaria in pasticche, pronti a pipparsi l’ultima riga di fronte al
povero corridore zen. L’ immagine è perfetta per chi voglia ricamarci su una bella retorica biecamente
reazionaria sull’argomento, ma il mio punto d’attenzione non è fortunatamente così limitato. Di fronte a
quest’immagine ed al significato diametralmente opposto che si vorrà far assumere alla giornata, diventa
però per me inevitabile riflettere sull’azzardato binomio Murazzi-cultura che ci viene proposto e chiedermi
sinceramente: quanta cultura ho vissuto e respirato ai Muri? Perché se io ripenso alle mie migliaia di serate
passate a sollazzarmi lungo il fiume, l’accrescimento cerebrale e spirituale non finiva propriamente sul
podio delle mie ambizioni da tardo adolescente spericolato. Vale in egual modo il procedimento inverso:
ri-evocate alla mente immagini di spettacoli, concerti, reading, improvvisazione teatrale e quant’altro e
ditemi, quanti di essi si sono svolti qui?
Mi chiedo questo perché proprio partendo dalla cultura si vuole riparare a quanto tristemente successo
nell’ultimo periodo. Credo che tutti conoscano la storia recente di uno dei lungo-fiume più belli d’Europa:
nell’ottobre dello scorso anno le puntuali ed annose lamentele sulla movida notturna da parte dei residenti
di Piazza Vittorio (non proprio l’avanguardia popolare proletaria tanto per intenderci) aprono la via ad una
inchiesta ( qui il link) della magistratura che “scopre” un elenco esteso di abusi da parte dei locali, affitti non pagati
e pendenze varie che portano alla chiusura totale della questione. La soluzione dell’Amministrazione al
problema è drastica: si tirano giù le serrande e tutti a casa, facile no? Difficile, impossibile giustificare una
scelta così sommaria e contro-producente per una città che sta tentando di plasmare l’immagine post-fordista di habitat ideale di nuove tendenze culturali ed artistiche.
Sia ben chiaro che tutti siamo d’accordo sul fatto che il tratto di ciclabile che collega il Valentino a
Vanchiglia, sotto gli occhi illuminati dei Cappuccini e della Gran Madre e lo sguardo rassicurante di Superga,
è un dono naturale-artistico-architettonico abbacinante, romantico, così suggestivo da far sembrare
sacrilego vederlo vuoto ed inutilizzato.
Ora l’estate si avvicina, i torinesi cominceranno tiepidamente ad invadere i marciapiedi cittadini e
soprattutto il Comune aprirà a breve il nuovo bando di gara relativo ai locali lungo il fiume: la merce in
palio è alta, altissima sia dal punto di vista economico che sociale. Nel frattempo la sinistra alternativa
degli affermati artisti quarantenni si muove in apparente contrapposizione tirando fuori le storiche
parole d’ordine “libertà” e “Kultura” a difesa di un mondo che non esiste più, una contrapposizione che
suona oltretutto ridicola se solo ripensiamo per esempio al video della lunga intervista ( qui il link) di Max Casacci a Piero Fassino in cui sostanzialmente la “Torino artistica” sostiene il “giovane Fassino” nella corsa alla poltrona di primo cittadino nel 2011. Nel mezzo i gestori dei locali a giocare il
contemporaneo ruolo di vittime e di futuri tutori anch’essi della movida culturale cittadina, sempre nel
nome supremo dell’espressione artistica giovanile, è chiaro.
Il primo atto della parossistica commedia è andato in scena ieri sera in Piazza Vittorio con il mega-evento
che presentava la stessa scaletta del mio primo concerto da alternativo di quasi vent’anni fa: suona
tragicamente comico che a distanza di due decenni il panorama artistico musicale cittadino mainstream sia
rimasta immobile ed invariato a sé stesso. Sul palco si discetta di mondo culturale in fermento, di generi
musicali eterogenei che crescono e si confrontano, di Murazzi come culla di gruppi esordienti in procinto
di sfondare, senza nemmeno accorgersi che stanno narcisisticamente specchiando se stessi nelle acque del
Po.
Se i Murazzi fossero stati davvero quella miscela esplosiva di fermento e crescita culturale, di libertà e
possibilità di crescita per i giovani artisti, ieri sera su quel palco ci sarebbero stati nomi diversi. E quei nomi
sono ben impressi nella mente di chiunque abbia avuto sete di nuove forme ed espressioni artistiche in
città, forme che sono troppo estranee alla cultura radical anni ’90 per poter entrare a far parte di quella
cerchia illuminata che finge di chiedere il cambiamento ma punta al mantenimento di uno status quo che
vede il solito blocco granitico di potere al Governo della Città, ed i soliti nomi a governare le scalette dei
concerti nelle piazze storiche torinesi.
E così alla fine ho deciso di rimanere a casa e guardarmi finalmente “La Grande Bellezza”: sulla Tv di casa
nostra scorreva il declino culturale della Capitale con la messa alla berlina di alcuni clichè culturali radical
chic del nostro tempo, in Piazza quegli stessi stereotipi tradotti in piemontese si stavano proponendo come
modello di rinascita artistica della città. Un cortocircuito troppo stridente per convincermi a scendere in
strada al fianco dei giovani ribelli Max Casacci e compagnia cantante.
Paolo Tex Tessarin